Viaggio in paradiso del 1909 è l’ultimo romanzo pubblicato dallo scrittore statunitense Mark Twain.

Il libro consiste in un lungo racconto fantastico sulla vita ultraterrena vista attraverso gli occhi del capitano Eli Stormfield di San Francisco. È ispirato a una vera figura di marinaio, Edgar (Ned) Wakeman, che lo scrittore americano aveva conosciuto nel 1866 a bordo del piroscafo America e che effettivamente gli narrò una simile avventura, tale marinaio rallegrò le lunghe ore trascorse in nave per raggiungere il Nicaragua, narrandogli le proprie memorie di quando ero morto e poi, a velocità supersonica, era schizzato verso il Paradiso, dove aveva vissuto avventure e fatto i più strani incontri.
Con il linguaggio semplice e ironico che caratterizza tutta la produzione letteraria di questo scrittore, parlando dell’aldilà egli rappresenta il nostro immaginario e le speranze legate alla nostra esistenza oltre alla vita terrena. Per esempio, l’incontro con le persone care che la morte ha strappato al nostro affetto in questa nostra vita terrena.
Infatti è tenera ed allo stesso tempo angosciante l’immagine di quel padre ebreo che non riesce ad incontrare la propria figlioletta morta.
Attraverso la descrizione del paradiso che ricorda la galassia, l’autore pur ironizzando sull’immagine che a suo pensare ci propongono alcuni ambienti cattolici dell’aldilà, attraverso un racconto quasi fiabesco ci aiuta a riflettere su molti stereotipi della nostra attuale società.
L’autore statunitense descrive un paradiso tutto diverso da quello che ci si immagina leggendo i testi sacri. Il Viaggio, descritto da lui in modo lieve e piacevole, è comunque in grado di far riflettere su ciò che l’uomo pensa della vita dopo la morte e sulla sua visione di cosa sia l’aldilà.
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