Un bicchiere prima di dormire

Un bicchiere prima di dormire di Pasquale De Falco

 

Era sera inoltrata, tornai a casa; sul tavolo bicchieri e bottiglie, guardavo il fondo di un bicchiere con sguardo assorto e le labbra screpolate appena socchiuse, tutto intorno mi sembrava irreale.

Fuori il cielo era magnifico, libero da nuvole, appena velato nella parte inferiore da uno strato sottile di polvere luccicante, stelle a grappoli, e onde lievi a levigare il grande cristallo.

Vedevo una luce lieve, suoni ignoti si liberavano nell’aria colma di profumi, il cielo era magnifico, i pensieri oscillavano nel vuoto, in istanti infiniti, irreali.

Ricordavo gli addii, io ero immobile davanti al mio bicchiere svuotato, fermo come un cristallo che si frantuma e si ricompone, io adesso ombra a ridosso dell’ombra, parvenza, lacrima del cielo, la sera si cullava tra le mie braccia.

Aprii la finestra e buttai l’occhio distrattamente oltre il davanzale.

La luce dei lampioni si sdraiava esile sulla strada, e la solitudine correva lungo i marciapiedi, richiusi la finestra con forza e tornai a sedermi.

Presi la bottiglia, la rigirai delicatamente tra le mani, poi, stringendola con passione, cominciai a buttar giù quel nettare divino. Un sorso, ancora, ancora uno, fino a quando, trascorso qualche minuto, di quel liquido dorato nella bottiglia non rimase alcuna traccia.

Alzai verso l’alto la bottiglia, e guardai attentamente il fondo: solo trasparenze vidi, e il viso di lei oscillare dentro, mentre il cielo all’esterno era adesso talmente espressivo che si poteva racchiudere tutto in un solo respiro.

Un’altra bottiglia rigirai tra le mani, lucida, altera nella sua ignobile bellezza, Un sorso, due, poi ancora uno. Adesso le pareti oscillavano. L’ultimo sorso, poi il cielo svanì.

Silenzio intorno, qualche stella, la nebbia che fitta invase la stanza. Il nostro più grande rammarico è quello di non essere mai padroni dei nostri sentimenti, di non conoscerli fino in fondo. Mi sento meglio dopo aver ingerito molto alcool, il senso di solitudine che mi si era appiccicato addosso è svanito lasciando il posto a un leggero formicolio su tutto il corpo, nelle mani soprattutto.

Mi sento bene e ho voglia di dormire. Spensi la luce. Il sonno si avvicina e nel brevissimo momento in cui riesco a percepire il suo arrivo vedo in modo confuso, tra fantasia e realtà, la mia vita. I miei pensieri.

Caddi sul divano, mi addormentai tra i ricordi di un passato mai esistito.

Il buio della camera si era colorato di verde, ho visto vento, sesso violento, pace, male, vorrei fumare un candido arcobaleno intriso di profumi inebrianti, forse oppio, nel centro commerciale le cassiere guardano il mio corpo, una commessa voleva vendere amore a poco prezzo, voglio dormire su guanciali di marmo bianco.

L’anima inquieta è un manoscritto senza datazione.

Una raffinata musica crea un magico realismo: le case hanno sguardi inquieti, i prati sono leggeri capelli sparsi al vento d’inverno.

Seguimi sui social
228 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *